Onorevoli Colleghi! - L'agricoltura è il settore che, negli ultimi anni, più di ogni altro ha risentito - e sta risentendo - degli effetti del processo di globalizzazione. A seguito di ciò, la produzione e il commercio agricoli sono stati inseriti, fin dal 1986, tra le materie soggette alle regole multilaterali sul commercio e la necessità di adeguarsi a tali regole ha comportato una profonda modifica delle politiche di sostegno all'agricoltura e, in specie, della politica agricola comunitaria che, come noto, ha di fatto abolito ogni forma di aiuto alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli.
Allo stato, la nostra agricoltura si trova con sempre più frequenza di fronte alla scelta tra continuare a produrre, esponendosi comunque al rischio di non riuscire ad essere competitivi su di un mercato sempre più aperto e sempre meno protetto, o rinunciare alle attività produttive, e limitarsi a svolgere quel minimo di pratiche agronomiche che sono necessarie per rispettare i cosiddetti parametri di eco-condizionalità e, quindi, per incassare gli aiuti comunitari «disaccoppiati».
Il rischio di non riuscire ad essere competitivi sul mercato e di ritenere, pertanto, più conveniente non produrre è particolarmente forte per i settori dove è più forte la concorrenza estera, come, ad esempio, il settore dei seminativi, in genere, e delle colture industriali, in particolare.
Da più parti si sostiene che il disimpegno sul fronte produttivo potrebbe essere compensato da un più forte impegno sugli altri versanti che, nel loro complesso, costituiscono la cosiddetta multifunzionalità agricola. Ciò, tuttavia, non è né facile né immediato da realizzare, sia perché le politiche di sviluppo rurale, nonostante gli impegni assunti a livello comunitario, continuano ad essere largamente insufficienti, sia perché in molti casi non esistono reali